martedì 3 luglio 2007

Frame 22. Questioni di sensemaking

Diversamente dai poeti, dai giullari e dai filosofi, ai quali è dato concludere i loro racconti evocando l’allegoria, la sfida, il caso, la vertigine , approssimandoci alla meta proveremo a dare ordine logico, senso, alle idee, ai concetti, alle esperienze, alle relazioni, fin qui descritte e analizzate.
Cercheremo di farlo avendo alle spalle la serena consapevolezza che i pensieri, poco o tanto che costino, si pagano sempre con il coraggio ; che la razionalità con la quale operiamo scelte e assumiamo decisioni è limitata e che dunque l’incongruenza, l’incompletezza, l’errore sono sempre in agguato; che a una stessa domanda possono essere date per definizione più risposte giuste e che ciò fa semplicemente piazza pulita di qualunque pretesa di detenere il monopolio della verità. E avendo innanzi l’obiettivo di attivare un processo che è riflessivo, sociale, istitutivo di ambienti sensati, continuo.
Questioni di sensemaking, insomma. Che nel caso specifico possono essere indagate a partire dalle caratteristiche che, dal versante metodologico e dei contenuti, è utile abbiano i processi di apprendimento che utilizzano le nuove tecnologie dell’informazione per: i) risultare davvero efficaci; ii) aggiungere valore e qualità al nostro sistema educativo e formativo, quello universitario in primo luogo; iii) offrire a più ampie fasce di cittadini l’opportunità di accedere all’istruzione universitaria.
Si può cominciare sottolineando come persino in un mondo come quello attuale, dove, nel bene e nel male, tutto sembra diventato possibile, chiunque avesse avvertito il dovere o la necessità, avuto l’in-teresse o la voglia di guardare a quanto stava accadendo in Europa e nel mondo, o anche solo di leggere i documenti ufficiali prodotti, avrebbe dovuto senza troppe difficoltà rendersi conto che non si trattava di favorire la nascita di 10, 100, 1.000 Università esclusivamente telematiche o di immaginare che il futuro sarebbe stato assicurato dalla standardizzazione dei learning objects.
È possibile che – come si usa dire nella tradizione popolare riferendosi a più pruriginose e meno scottanti vicende – lo sapessero tutti tranne chi lo doveva sapere, nella fattispecie l’allora ministro con annessa maggioranza di governo? Difficile da credere. Più verosimilmente, se si vuole davvero comprendere ciò che è avvenuto, è utile connettere le scelte che sono state fatte con gli effettivi interessi che si è inteso privilegiare, che nel caso specifico non sono stati né quelli istituzionali, relativi cioè al sistema Università e al sistema Paese, né, tanto meno, quelli di coloro che nell’Università studiano o lavorano.
Sta di fatto che in un Paese come il nostro, che per ciò che riguarda l’e-learning non vanta certo una tradizione particolarmente significativa né sul terreno dell’internazionalizzazione (il fatto che al momento in cui scriviamo ancora nessuna Università italiana partecipi ad esperienze consortili di dimensione internazionale sul modello open university precedentemente descritto suggerisce a questo proposito qualcosa di sicuramente significativo), né su quello della propensione agli investimenti, né su quello della capacità di innovazione, una scelta così dichiaratamente sbagliata sul terreno delle strategie non poteva che avere conseguenze pesantemente negative.
Di certo non a caso il processo di crescita non ha riguardato né la qualità delle attività né quella dell’offerta formativa ma soltanto il numero di Università telematiche autorizzate ad operare sulla base del famigerato d.i. del 2003 che in un solo anno ha fatto sì che esse fossero quasi triplicate.
Dato questo contesto, la possibilità di invertire l’ago della bussola, di cambiare la tendenza, è più che mai legata alla volontà, capacità, determinazione di stare in campo, di provare a vincere una partita difficile, che si gioca a più livelli, a partire da quello legislativo, indispensabile per riparare alle storture più profonde introdotte dal decreto.
Ciò detto, si può aggiungere che, tra le mosse necessarie per giocare al meglio la partita, le quattro che seguono sono quelle alle quali a nostro avviso sarebbe utile assegnare una priorità.
La prima mossa si riferisce alle strategie e andrebbe orientata, come ripetutamente richiesto da più parti, dalla Conferenza dei Rettori in primo luogo, alla definizione di una via italiana all’e-learning che, sul modello delle open universities definisca standard condivisi di qualità, realizzi una mappatura delle esperienze in atto, individui tempi e percorsi credibili di inserimento, sostenga lo sviluppo di esperienze di cooperazione e di scambio, diffonda buone pratiche, stabilisca relazioni con le analoghe esperienze avviate negli USA e in Gran Bretagna. Diciotto mesi di lavoro e una struttura articolata a tre livelli (un’apposita direzione del MIUR incaricata di coordinare le attività; una cabina di pilotaggio con le rappresentanze di tutti i soggetti interessati, dai rettori agli studenti, passando per i fondi interprofessionali e le organizzazioni sindacali e datoriali; una task force con i rappresentanti delle esperienze più avanzate a livello nazionale, europeo e mondiale) per un progetto destinato a cambiare il futuro dell’apprendimento, non solo a distanza.
La seconda mossa si riferisce alle scelte metodologiche e punta sul Web come risorsa fondamentale intorno alla quale articolare i processi di apprendimento a distanza, in primo luogo in ambito universitario.
Il messaggio in questo caso è: Web, sempre Web, fortissimamente Web. Che naturalmente non vuol dire esclusivamente Web, dato che il suo utilizzo è assolutamente compatibile non solo con i percorsi di apprendimento in modalità blended, ma anche con i più tradizionali corsi in aula.
Molti fattori concorrono a nostro avviso a fare del Web la piattaforma pour excellence per persone di ogni età, sesso, condizione sociale, alle prese con la necessità di imparare a scuola, all’Università, per tutto l’arco della propria vita.
Tra essi almeno tre meritano di essere segnalati: i) il Web è una piattaforma che connette le persone, le rende nodi attivi della rete, valorizza le loro idee, le loro storie, il loro potenziale ed è dunque particolarmente indicata in una fase in cui, come abbiamo visto, i processi di apprendimento non sono attivati solo dalle risorse di conoscenza messe a disposizione dei discenti ma anche, soprattutto, dalle attività che questi ultimi svolgono per risolvere problemi e dal contesto sociale e lavorativo nel quale essi si collocano; ii) il Web è una piattaforma sempre aggiornata, raggiungibile sempre più velocemente e con un numero sempre maggiore di «periferiche» (telefoni, computer, TV, ecc.), sempre più a misura delle esigenze degli utilizzatori, gli unici a determinare il successo o il fallimento delle nuove applicazioni; iii) le applicazioni del Web 2.0, con la loro capacità di favorire le interazioni e le relazioni, di sviluppare i processi di condivisione e di collaborazione a distanza, rappresentano una naturale interfaccia per processi e percorsi di apprendimento nei quali la capacità di gestire informazioni e conoscenze, di connettersi con le persone e l’ambiente diventa una caratteristica sempre più fondamentale.
La terza mossa si riferisce alla realizzazione di un programma orientato a sviluppare le effettive capacità delle persone di usare le tecnologie, le risorse, gli strumenti, i contenuti oggi disponibili e a sostenere la voglia di conoscere, comunicare, partecipare delle persone di ogni età, cultura, genere, ceto sociale.
L’idea è che per questa via sia possibile avviare uno straordinario processo di inclusione sociale, di ottimizzazione di sistema, di diffusione di ambienti attivati nei quali quando si parla di tecnologia ci si riferisce non solo a un insieme di macchine inanimate ma anche alla capacità umana di usarle, governarle, sfruttarne al meglio le potenzialità.
Per quanto riguarda più specificamente i processi di inclusione si tratta di: i) motivare le persone e dare valore alle opportunità loro offerte dalle nuove tecnologie della conoscenza; ii) fornire loro gli strumenti e le competenze necessarie a utilizzarle in maniera adeguata; iii) sostenere lo sviluppo di reti e relazioni tra persone.
Per ciò che si riferisce invece ai bisogni di ottimizzazione basta sottolineare che le scarsa capacità dei 6,7 milioni di lavoratori classificabili come utilizzatori generici di strumenti di informatica di utilizzare in maniera adeguata le tecnologie dell’informazione si traduce in una perdita ogni anno in Italia di 15,6 miliardi di euro . Il dato è emerso da una ricerca condotta da AICA e SDA Bocconi e a propria volta realizzata sulla base di un’indagine realizzata dal-l’Istituto Nazionale di Statistica della Norvegia dalla quale risulta che ciascun utente non esperto di computer perde 171 minuti a settimana (38 per aiutare i colleghi in difficoltà con il PC, 22 per problemi di stampa, altrettanti in attesa di aiuto, 14 in manovre errate d’accesso ai data base, 13 per tentativi impropri di accesso a Internet, 12 e 11 per problemi legati rispettivamente all’uso maldestro dell’e-mail e dei programmi di elaborazione testi e 6 per problemi legati ai virus informatici) che moltiplicati per i 6,7 milioni suddetti produce un monte ore complessivo il cui costo totale è stato stimato per l’appunto in 15,6 miliardi di euro).
La quarta mossa prevede infine di definire un criterio di urgenza nell’allocazione delle risorse, da quelle, più ingenti, europee, a quelle nazionali e locali, e di assegnare ai tre punti precedenti un carattere di priorità (affinché la faccenda non appaia ancora più impervia di quella che è ed avere un ordine di grandezza al quale riferirsi è utile ricordare che negli anni che vanno dal 2000 al 2004 la sola Unione europea ha stanziato per progetti di formazione relativi ai diversi assi di propria competenza, 11,6 miliardi di euro).
Concludendo, si può dire che si tratta di rendere visibile il «filo della conoscenza» che permette di migliorare la nostra capacità di imparare, comunicare, comprendere, lavorare per tutto il corso della vita; di avere più opportunità ed essere meno esposti all’incer-tezza che ci assale ogni qual volta le cose intorno a noi cambiano, e con esse cambia il mondo al quale siamo abituati; di valorizzare la capacità individuale di arricchire quanto diversamente appreso e di personalizzarlo in base ai contesti effettivi di vita e di lavoro; di limitare i rischi di dispersione del nostro capitale culturale; di essere consapevoli che le risorse educative diventano attive nel processo di apprendimento nel momento in cui diventano gli arnesi che permettono ai discenti di fare (costruire) qualcosa di utile.
In definitiva, è la corrispondenza tra processi educativi e capacità di rispondere alla domanda reale delle persone, ai loro concreti bisogni nello studio, nel lavoro, nella vita, a fare la differenza, a determinare l’efficacia del processo. C’è bisogno per questo di forti motivazioni, chiarezza degli obiettivi, rigore metodologico, elevata qualità dei percorsi di apprendimento, consapevolezza che la stessa formazione universitaria non è più «il» punto di arrivo, integrabile al massimo con il Master o il Corso di Specializzazione, ma una tappa, per quanto importante, di una via all’apprendimento che siamo impegnati a percorrere per tutta la vita.
In questa direzione occorrerà probabilmente indirizzare gli sforzi futuri.

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