martedì 3 luglio 2007

Frame 21. Casa Italia: come buttare l’acqua sporca e salvare il pupo

Perché negarlo? Se si guarda a ciò che accade in Italia, alla qualità di larga parte delle esperienze fin qui realizzate e dei risultati ottenuti in materia di e-learning è più facile essere presi dallo scoramento che dall’entusiasmo. Non toglie evidenza a questo semplice dato di fatto né la certezza che, come abbiamo visto, neanche nel resto del mondo mancano difficoltà e problemi, né la consapevolezza che anche nel nostro Paese esistono buone pratiche e sperimentazioni interessanti .
La questione è che le buone pratiche che pure qua e là si stanno realizzando sono sconosciute ai più e si disperdono in un universo caotico di «esperienze fai da te» troppo spesso sconnesse le une dalle altre.
L’e-learning italiano non ha ancora un cuore, un’anima. Fa fatica a fare sistema, ad abbandonare l’idea delle conoscenze organizzate in discipline e compresse in forme rigide, gerarchizzate, standardizzate, a passare da una concezione dell’apprendimento fondata sull’in-formazione ad una fondata sulla conoscenza, a sviluppare approcci cognitivi creativi, molteplici, differenziati, in grado di innalzare il livello delle motivazioni e delle aspettative di docenti e studenti.
Assieme alla difficoltà di fondo derivanti dall’essere approdato all’e-learning sulla base di un approccio prettamente tecnologico (per troppo tempo la discussione ha riguardato il tipo di piattaforma da adottare e ciò ha fatto sì che in molte Università convivessero una piattaforma «ufficiale» e altre legate a esperienze dei singoli Dipartimenti, Corsi di Laurea, ecc.), l’Italia paga la limitatezza degli incentivi morali, professionali, economici messi a disposizione dei docenti, gli scarsi investimenti in formazione e la conseguente difficoltà di reperire tra gli stessi docenti le competenze professionali necessarie a uno sviluppo davvero innovativo dei processi formativi a distanza, la mancata definizione di strutture di controllo organizzate sulla base di sistemi di competenze di livello alto.
Se questa è la situazione, di per sé oggettivamente poco felice, a livello generale, lo stato dell’arte si fa addirittura drammatico quando si guarda alle quattro Università che, nell’anno accademico 2005/2006, sulla base di quanto previsto dal d.i. del 17 aprile 2003, potevano definirsi telematiche.
Di certo non a caso, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI), nella sua delibera relativa all’attivazione e al riconoscimento di tali Università telematiche, dopo aver espresso «una netta contrarietà all’inserimento nel sistema universitario italiano di un canale parallelo che, non opportunamente disciplinato, potrebbe condurre a una proliferazione di soggetti mossi da prevalenti interessi economico-commerciali» e aver sottolineato che «non appare infine chiara la normativa sul ruolo dei docenti all’interno del nuovo contesto didattico, né quella relativa ai criteri di valutazione della qualità e alla individuazione dei soggetti chiamati ad esprimersi sul punto» ritiene necessario, in riferimento a quelli che definisce «altri aspetti più squisitamente tecnici», redigere uno specifico allegato, di seguito integralmente riportato, nel quale si sottolinea che:

Il decreto interministeriale del 17 aprile 2003 concernente la definizione di criteri e procedure per l’accreditamento dei corsi di studio a distanza delle università è già stato oggetto di considerazione da parte della CRUI in un comunicato dove si indicava nel modello delle open universities britanniche un riferimento da privilegiare per dare attuazione alle innovazioni contenute nel testo. La proposta allora formulata si ispirava alla necessità di predisporre delle iniziative di cambiamento capaci di coinvolgere organicamente l’intero panorama universitario evitando di allestire interventi episodici confinati a realtà isolate del sistema. Due elementi meritano particolare attenzione e garantiscono il buon funzionamento del sistema: l’integrazione tra didattica e ricerca e il rispetto di requisiti minimi per tutte le università. Tale posizione, che tuttora anima il parere della Conferenza, viene rinnovata in questo documento e affiancata da una ricognizione sugli aspetti maggiormente problematici del decreto offrendo, nel contempo, elementi di riflessione e linee guida per tracciare un efficace percorso attuativo da intraprendere.
1. In primo luogo è da rimarcare l’assenza nel decreto di un richiamo alla questione del digital divide, ovvero al problema dell’alfabetizzazio-ne informatica e dell’accessibilità delle nuove tecnologie, al quale la Conferenza assegna invece una rilevanza prioritaria considerandolo sovraordinato all’esigenza di definire criteri di accreditamento. Va riconosciuta la necessità di approntare misure per facilitare, incentivare e promuovere l’utilizzo di strumenti informatici raccogliendo, in tal senso, l’invito diffuso dalla stessa Comunità Europea.
2. Si sottolinea l’opportunità di pervenire ad un’appropriata distinzione tra i significati di formazione a distanza – sufficientemente chiarita nel decreto (art. 3) – e apprendimento mediato da tecnologie telematiche, non di rado erroneamente assimilato alla prima. Infatti, i corsi a distanza vengono tradizionalmente predisposti per fronteggiare problemi di rigidità spaziale e temporale mentre l’impiego delle tecnologie basate sulla rete trova applicazione laddove emergono esigenze di flessibilità, personalizzazione e individualizzazione della didattica in un contesto dove l’interattività dei soggetti coinvolti diviene l’elemen-to portante del processo di apprendimento. Il richiamo all’interattività umana (art. 3) costituisce un aspetto irrinunciabile del programma d’azione e va realizzato attraverso il supporto di personale specificamente qualificato il cui ruolo, tuttavia, difetta di visibilità nell’econo-mia del decreto.
3. L’art. 4 del decreto, che regola l’attivazione dei corsi, fa esplicito riferimento sia ad università statali e non statali sia ad università telematiche, senza tuttavia chiarire i criteri di accreditamento di queste ultime. In particolare, è opportuno specificare se i requisiti finora adottati per l’istituzione delle università siano da estendere anche alle nuove università telematiche o se, al contrario, queste saranno oggetto di diverse regolamentazioni.
4. La CRUI propone inoltre di contribuire alle attività del Comitato di esperti (art. 5) delegando propri rappresentanti per poter interagire con i membri designati dai Ministeri competenti al fine di definire criteri di accreditamento dei soggetti erogatori di formazione on line e dei corsi universitari.
5. Per ciò che attiene alle tecnologie menzionate per l’implementazione del progetto (art. 2.1 dell’allegato tecnico del decreto), si ritiene inopportuno confinare la disponibilità degli strumenti utilizzabili entro un insieme predefinito, alla luce sia del rapido processo di obsolescenza cui sono sottoposte le risorse oggi in uso sia della incessante evoluzione di quelle in divenire. A fronte di un’eccessiva attenzione nei confronti degli aspetti tecnologici si devono registrare le lacune inerenti la gestione dei materiali e il controllo della loro qualità, la scalabilità delle risorse impiegate, le attività di tutoring e mentoring.
6. A partire da un’esigenza di chiarificazione generale in merito al ruolo di tutti i soggetti coinvolti, si pone in particolare la necessità di sgombrare il campo da equivoci in riferimento alle modalità che i Ministeri competenti intendono adottare per rapportarsi al mondo dell’univer-sità e delle comunità scientifiche di settore. Le disposizioni emanate non affrontano gli aspetti relativi ai criteri con cui gli esperti vengono nominati né chiariscono i requisiti che essi devono possedere (art. 5). In accordo ad una corretta logica di valutazione dei processi, preme inoltre ribadire l’opportunità di assegnare la fase di controllo ad organismi terzi, indipendenti e a loro volta accreditati. Un’incognita non trascurabile che pesa sull’impianto del decreto risiede infine nell’assenza di riferimenti alla disponibilità e reperibilità delle risorse finanziarie .

Cosa aggiungere ancora? Che tutto ciò conferisce semplicemente un alone di prevedibilità ai numerosi buchi neri che ad oggi costellano i cieli dell’Università telematica italiana e che si è cercato di rappresentare il più fedelmente possibile nel corso del primo capitolo di questa parte della ricerca. Che il lavoro di Salvatore Casillo e Sabato Aliberti fornisce, a chiunque abbia una qualche ragione, motivazione, interesse per rendersene conto, numerosi, significativi, argomenti a favore della tesi che siamo di fronte a un errore, che ci ostiniamo a pensare non irreversibile, di sistema. E che a riprova di ciò può essere citato, un esempio per tutti, lo scarso interesse suscitato dalla delibera della CRUI con annesso allegato appena citato e che invece, come si avrà modo di approfondire di qui a poco, conteneva alcune indicazioni che sarebbe stato assai utile tenere da conto.

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