martedì 3 luglio 2007

Frame 13. La libertà è il diritto di sapere delle cose

È opinione sempre più largamente diffusa che la conoscenza rappresenti, oggi in misura maggiore che in ogni altra fase della storia dell’umanità, non solo una straordinaria forza propulsiva, ma anche un fondamentale diritto delle persone, un fattore di libertà; che le categorie con le quali eravamo soliti definire il mondo e noi stessi nel mondo, nell’ambito di cerchie di identificazione date, in una fase che Lévy e Authier hanno definito come il quarto e ultimo spazio antropologico dell’evoluzione umana , appaiano del tutto inadeguate a definire il tempo attuale; che nessuna società che abbia davvero a cuore il proprio futuro, nessuna élite, gruppo dirigente, singola persona, che ritenga di non dover venir meno alle proprie responsabilità verso le generazioni che seguono, possa fare a meno di prendere sul serio la questione educazione, il diritto di ciascuno di imparare e stabilire relazioni in ogni contesto e per tutto l’arco della propria vita; che nella società della conoscenza il sapere non sia soltanto un fattore fondamentale di ricchezza ma anche uno dei luoghi della solidarietà tra gli uomini; che i saperi siano gli arnesi a partire dai quali ciascuno può ricostruire, in maniera autonoma, un proprio percorso, un proprio schema di relazioni, un proprio punto di vista pubblico; che offrire alle persone l’opportunità di scegliere percorsi per l’acquisizione di nuove competenze e conoscenze, e per la valorizzazione di quelle possedute, voglia dire perciò incrementare il loro capitale di abilità e competenze, ammortizzare gli effetti di possibili mobilità, favorire più ampie opportunità di scelta anche nell’ambito del tempo libero, ricreativo, socialmente impegnato; che sapere chi siamo, avere chiara la nostra identità, sia il primo decisivo passo per definire i caratteri di una più valida solidarietà tra le persone; che sia la ricerca di questa identità che ci spinge a costruire legami sociali fondati sugli scambi di conoscenza, sull’ascolto e la valorizzazione dei singoli, sulla democrazia aperta, diretta, partecipativa; che sia la possibilità di apprendere per tutto l’arco della vita la sola garanzia, il vero antidoto, contro il rischio di una società organizzata come una sorta di struttura neocastale nella quale coloro che hanno accesso convivono con una insopportabilmente grande massa di esclusi; che per questo sia importante conoscere; conoscere più linguaggi, perché è attraverso di essi che possiamo accedere e condividere il mondo che ci circonda, con le tante cose che lo popolano; conoscere per essere protagonisti nel processo di costruzione di cerchie alternative di discorso pubblico, per fare le domande giuste alla politica, per partecipare in maniera attiva e consapevole.

Non sono altro che parole? Niente affatto. E poi le parole sono importanti. In generale, perché, come abbiamo appena detto, è attraverso di esse che possiamo accedere alle cose del mondo. Nel caso specifico, perché sono parole autorevoli, sono state partorite in maniera faticosa nel corso dei decenni, si sono dimostrate impegnative non solo per le persone che le hanno pronunciate ma anche per le istituzioni che esse rappresentavano, hanno determinato spesso atti e risoluzioni concrete.
Volendo fare un solo esempio riferibile all’ambito della vecchia Europa si può sostenere senza tema di essere smentiti che sono davvero molti gli atti che testimoniano, a partire dal Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente della Commissione Europea e dalla successiva comunicazione «Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente», come si sia cercato di mettere in campo un’idea di educazione capace di tenere assieme saperi e saper fare, che non è riservata solo alla famiglia o alla scuola, che può essere di aiuto nella definizione di una più ampia concezione della cittadinanza nella quale trovino posto non solo i diritti ma anche i doveri, che investe sulla valorizzazione e sulla crescita professionale di nuove figure di insegnanti educatori. E in questo stesso contesto possono essere lette ancora le iniziative messe in piedi, su proposta della Commissione e con il contributo degli Stati membri, per delineare un approccio globale e coerente delle politiche nazionali nel settore dell’istruzione, nel quadro dell’Unione Europea, allo scopo di «migliorare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e di formazione nell’Unione Europea; consentire a tutti di accedere all’istruzione e alla formazione durante l’intero arco della vita; aprire i sistemi di istruzione e di formazione sul mondo»; dare ai cittadini europei di ogni età la possibilità di accedere ai sistemi d’istruzione e di formazione formali e non formali; promuovere processi di cittadinanza; realizzare politiche attive di coesione sociale e culturale; migliorare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e di formazione nel-l’Unione Europea; migliorare e sviluppare la capacità competitiva dell’Europa; contribuire anche per questa via alla costruzione di un nuovo e più avanzato modello di Stato Sociale.
Il fatto è che persino quando le parole, le intenzioni, gli atti non possono essere messi in discussione, permane la difficoltà relativa alla quantità e alla qualità dei fatti concreti che essi riescono a determinare. Nel caso specifico si può provare, con uno sforzo niente affatto banale, a concentrare l’attenzione su un solo aspetto di tale difficoltà, quello che si riferisce alle modalità con le quali rendere concretamente esigibile la promessa di garantire a tutti eguali opportunità di accesso alla conoscenza.
Al tempo in cui, come sostiene Amartya Sen , tutte le conquiste, quelle afferenti alla sfera privata così come quelle che si riferiscono alla sfera pubblica, sono mezzi per accrescere nelle sue molte forme la sfera delle libertà (che rappresenta, allo stesso tempo, il fine primario e il mezzo principale per conseguire lo sviluppo) e consistono nell’eliminazione dei vincoli che limitano o negano all’uomo l’opportunità e la capacità di agire secondo ragione e di costruire la vita che preferisce, la libertà di apprendere rappresenta il terreno di prova pour excellence di questa possibilità-capacità di espandere le libertà reali, e dunque le opportunità di crescita morale e materiale, per persone quali noi siamo, come dimostra il fatto che la via dello sviluppo si è rivelata più rapida ed efficace proprio in quegli Stati che, nonostante la povertà e l’arretratezza economica, hanno saputo varare per tempo vasti programmi di interventi sociali come campagne di alfabetizzazione o piani di assistenza sanitaria.
Se tutto questo è, come crediamo, vero, o almeno ad esso vicino, ecco che la questione potrebbe essere riferita alle modalità con le quali ampliare l’effettiva disponibilità di funzionamenti (stati di essere o di fare cui gli individui attribuiscono valore, le esperienze effettive che l’individuo ha deciso liberamente di vivere, ciò che ha scelto di fare o essere; definiscono la riuscita reale delle persone) e di capacitazioni (gli insiemi di combinazioni alternative di funzionamenti che una persona è in grado di realizzare, le potenziali possibilità di scelta; definiscono la libertà di riuscire) di cui ciascuna persona dispone in termini di risorse di conoscenza.
E ciò potrebbe a sua volta suggerire qualcosa di importante circa la necessità di definire strategie in grado di avviare interventi efficaci, di migliorare la gestione dei saperi, di superare il deficit di competenze non soltanto attraverso l’istruzione formale e il sistema scolastico ma anche attraverso la valorizzazione di processi e percorsi di apprendimento informali che consentano agli adulti di mantenere e aggiornare abilità e competenze (solo l’uso continuo nelle attività quotidiane mantiene livelli adeguati di competenza).
Politiche efficaci di apprendimento per tutto il corso della vita presuppongono di conseguenza una effettiva possibilità di accesso ai luoghi dell’apprendimento (casa, lavoro, comunità, società civile, ecc.) e una reale volontà delle persone che autonomamente devono sentirsi motivate a partecipare. Vanno perciò sostenute politiche pubbliche volte a sostenere le pari opportunità nell’accesso alla conoscenza per evitare che chi già sa e sa fare di più, chi possiede maggiori conoscenze e competenze, continui ad avere maggiori opportunità di chi è più indietro nella scala sociale e professionale.
In definitiva l’idea in questo caso è che esista una connessione forte tra questi due aspetti e che sia tale connessione a spiegare in larga parte le promesse mancate, il divario esistente tra qualità effettiva e potenzialità dichiarate dei processi di apprendimento, i numerosi ritardi e fallimenti di cui è costellata la storia dell’e-learning.

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